Lacrime di Coccoboomer

Lacrime di Coccoboomer

I miei mi mandavano dai genitori della mia ex baby sitter a Londra per imparare l’inglese . Ma loro praticamente non c’erano mai. Dovetti quindi imparare a domare i fornelli, quell’entità vulcanica a me da sempre ostile, per sostentarmi in quei due lunghi mesi estivi sul suolo britannico . “ Vedi questa padella piena di strutto solidificato ? La devi mettere sul fuoco, aspettare che il grasso di sciolga, poi buttarci dentro due fette di bacon, aspettare un minuto, buttarci dentro due uova e mangiare “ Queste semplici istruzioni mi garantirono la sopravvivenza per tutta la vacanza . Volli subito esplorare la zona e portai con me il bastardino di casa, Buster, sempre pronto ad alleviare in me quel senso di latente solitudine che può pervadere un ragazzino di 12 anni catapultato da Roma a Londra senza conoscenze, a parte una coppia di distinti e distaccati signori inglesi sempre assenti per motivi di lavoro. L’architettura e il paesaggio erano per me del tutto nuovi : infinite strade dritte disseminate di villette tutte uguali, ognuna munita del suo giardino sul retro, a sua volta munito di cagnolino che abbaia quando passi.

Fidandomi molto di più dell’istinto canino che del mio senso dell’orientamento, per ritrovare la strada di casa dovetti ben presto sguinzagliare Buster arrancandogli dietro fino a che non raggiunse la sua amata cuccia. A me di imparare l’inglese interessava relativamente, il vero scopo del mio viaggio era, oltre che a visitare i principali musei di Londra, perlustrare come un segugio tutti i negozi di dischi, primo fra tutti quello di Marble Arch della Virgin, dove si potevano ascoltare gratuitamente tutte le novità del mercato ( nel mio caso per ore ) con delle potentissime cuffie bianche che a me sembravano veramente spaziali .E’ alla Virgin di Marble Arch che acquistai la mia copia in super offerta di “ Camembert Eletrique ", opera prima della comune spaziale anglonormanna Gong seguace della mitologia Alleniana delle teiere volanti. Fu come il battesimo del sacro fuoco di Canterbury ( città che ha prestato il nome alla vena più creativa ed originale del progressive britannico ) e ben presto nelle mie mani tenevo saldamente ( grazie al risparmio che potevo accumulare cibandomi esclusivamente di bacon & eggs gentilmente offertomi dalla famiglia Emery ) “ Third” dei Soft Machine “ No Pussyfooting “ di Fripp & Eno “ H to He “ dei Van der Graaf Generator ( che quell’estate ebbi anche l’occasione di ascoltare dal vivo in una pomeridiana in un teatro londinese popolato solo da uno sparuto gruppetto di freaks che per tutto il concerto rotearono freneticamente ed ininterrottamente la lunga capigliatura, cosa che mi turbò vagamente ) “ Islands “ dei King Crimson “ Rock Bottom “ e “ End of an Ear “ di Robert Wyatt, " Legend " degli Henry Cow, Trilogy degli ELP e, attratto dalla presenza del mio sperimentatore preferito, Brian Eno, oltre che naturalmente dall’immagine di Amanda Lear che tiene una pantera al guinzaglio ondeggiando su un tacco dodici , “ For Your Pleausure “ dei Roxy Music . L’avessi mai fatto ! Le piume e il trucco pesante di Eno all’interno della bellissima copertina scatenarono l’istinto savonaroliano degli Emery che mi vietarono tassativamente di suonare quel disco intriso di perversione sul loro scintillante grammofono abituato a canti di Natale e canzoni di Perry Como. La Virgin di Marble Arch era come una panetteria che sfornava freschi e profumati album appena usciti dai celebri studios inglesi, uno fra tutti il Manor Castle, dove, per dirne due, i Gong registrarono nelle notti di luna piena del dicembre 1973 il loro capolavoro “ Angels Egg “ e un certo signor Mike Oldfield, dopo aver distrutto involontariamente le campane tubolari lasciate imprudentemente nello studio da un gruppo che aveva registrato nei giorni precedenti, ( d’altra parte casse di birra e abbondanti prodotti fumogeni non scarseggiavano tra quelle mura ) decise di chiamare il suo disco “ Tubular Bells “, album milionario prodotto al Manor per gentile concessione di Richard Branson, il “ miliardario hippie “, manager partito dall’industria discografica per passare alle compagnie aeree ed ora attivo nel campo dei progetti di turismo spaziale. Ma il top era per me “Trilogy” di Emerson Lake & Palmer. Adoravo tutto di quell’album, dalla copertina all’ultimo solco, e potevo ascoltarlo decine di volte di seguito. Scartare l’oggetto del desiderio, sentire al tatto il vinile lucido e intonso, poggiare la puntina sul primo solco ancora incerti sulla bontà del nostro investimento, ed apprestarsi a compiere per la prima volta un viaggio che sarà sempre uguale e sempre diverso, e che si può ripetere infinite volte, questa era l’esperienza del suono vinilico che come un brivido percorreva la schiena dei giovani degli anni 70. Quale emozione prova un “ giovane d’oggi “ a inebetirsi con kilometriche playlists preconfezionate di musica scadente di qualità audio ancora più scadente ? La sensazione può essere di stringere nel pugno di una mano tutta la musica del mondo, ma in realtà questa alluvione di mp3 è la sentenza di morte della Musica. Ma se si racconta che al Diluvio Universale sopravvisse Atlantide, spero allora che all’ ecatombe musicale dell’mp3 possa sopravvivere una nuova Era dell’Acquario del Suono, nella speranza che l’essere umano possa tornare a sperimentare il più misterioso dei sentimenti : la meraviglia.

Lacrime di Coocoboomer

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